Le relazioni Italia-Cina verso l’era post Trump
Sono successe tante, tantissime, cose nelle due settimane trascorse dall’ultima puntata di Go East. Si è concluso il quinto plenum del Partito comunista cinese, che ha dato il via libera al prossimo piano quinquennale che in realtà è un piano quindicennale con vista 2035 (qui ne ho scritto io, qui ne ha scritto Simone Pieranni). Ci sono state le elezioni americane (ne ho parlato qui e qui prima del voto e qui dopo il voto, in riferimento ai rapporti Usa-Cina-Asia). Il 6 novembre si sono celebrati poi i 50 anni di relazioni diplomatiche Italia-Cina.
Cina, il Plenum dà il via al piano quindicennale con Xi "grande timoniere"
Autosufficienza tecnologica, ma senza chiudersi. Focus sui consumi interni, ma aumentando l'apertura all'esterno. Opportunità strategiche, ma con crescente instabilità globale. Prepararsi alla contesa con gli Stati Uniti, ma senza decoupling. Si è concluso a Pechino il quinto Plenum del Partito Comunista Cinese, che ha approvato il programma di Xi Jinping per i prossimi anni. Piano quinquennale, ma in realtà quindicennale. Sì, perché la prospettiva in cui è entrata la Cina è quella del 2035. Non da ieri, già da qualche tempo viene indicato quell'anno come quello in cui dovrà compiersi la "modernizzazione" del paese. Il quinto Plenum ha certificato questa visione strategica nella quale il ruolo di Xi Jinping sembra essere sempre più preponderante.
Da quanto emerso finora, la traiettoria sembra essere quella di cui si è parlato nei giorni scorsi (qui): autarchia tecnologica, innovazione, rafforzamento dei consumi interni in un contesto comunque "duale" di doppia circolazione che coinvolga l'esterno, crescita qualitativa. Con l'aggiunta degli obiettivi di ammodernamento rurale e limitazione delle differenza tra le ricche città costiere e le ancora non completamente sviluppate aree interne, ormai datato cruccio del Partito che sul punto non è ancora riuscito a completare la missione.
Il ministro di Shanghai
28 ottobre 2020, Go East: rassegna dei rapporti Italia - Cina (di Lorenzo Lamperti su China-Files.com)
Non sarà Rita Hayworth, protagonista di uno dei capolavori di Orson Welles (La signora di Shanghai – The Lady from Shanghai, appunto), ma anche Luigi Di Maio ha un rapporto con la megalopoli cinese che continua a essere avvincente. Scrive Giulia Pompili nell’ultima puntata della sua newsletter Katane: “Tra chi si occupa di cose asiatiche c’è molta attesa di sapere se sarà confermata la presenza del ministro degli Esteri italiano a Shanghai al China International Import Expo che si terrà a partire dal 5 novembre prossimo: sarebbe la terza volta consecutiva che Di Maio partecipa a questo evento specifico cinese – io, personalmente, dubito che quest’anno lo lasceranno andare, anche perché Di Maio sta lavorando troppo per togliersi di dosso l’immagine del panda-hugger, del pro Cina a tutti i costi. E’ possibile, però, che al suo posto ci vada il suo fido Manlio Di Stefano, sottosegretario con le deleghe all’Asia che invece, finora, non ha mai fatto un passo indietro sulla Cina”.
Ha già spiegato tutto Giulia, noi qui possiamo confermare che a quanto risulta Di Maio non dovrebbe andare a Shanghai nei prossimi giorni, anche per la quasi contemporaneità con le elezioni statunitensi. Non è da escludere, invece, che il ministro degli Esteri torni in Cina (dove lo scorso anno brindò con un calice di prosecco insieme a Xi Jinping) un pochino più avanti, magari anche prima della fine dell’anno.
Seconde ondate e riflussi
21 ottobre 2020, Go East: rassegna dei rapporti Italia - Cina (di Lorenzo Lamperti su China-Files.com)
“Il fatto che l’Italia sia tuttora il paese europeo con la maggiore presenza di cittadini della Repubblica Popolare Cinese è un aspetto che può essere ulteriormente valorizzato nelle relazioni italo-cinesi. Una maggiore attenzione da parte delle istituzioni competenti, a tutti i livelli, anche nella forma di una più assidua osservazione delle attività di carattere economico e politico espresse dalle associazioni di imprenditori cinesi, in particolare quelle riferite alla prima generazione dell’immigrazione cinese, consentirebbero di valutarne meglio il ruolo e la capacità d’azione tanto sul piano commerciale quanto su quello delle relazioni politiche con la madrepatria cinese. Tale maggiore attenzione offrirebbe anche all’Italia la possibilità di orientare favorevolmente alcuni processi sociali e culturali, come l’integrazione della minoranza cinese e in particolare della sua componente di seconda generazione, che impattano – e impatteranno sempre di più – sulla realtà sociale e politica del nostro paese assai più che su quella della RPC”.
E’ uno dei (molti) passaggi interessanti, e che riguardano direttamente l’Italia, del rapporto sulla Cina a cura di Giovanni Andornino “La Cina: sviluppi interni, proiezione esterna”, che ha visto la partecipazione di numerosi esperti tra cui Daniele Brigadoi Cologna, attento osservatore della comunità sinoitaliana. Ci si augura che il rapporto sia stato letto anche dalla classe politica italiana, alla quale peraltro era destinato.
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